“Four daughters”: un film dossier che spreca la drammatica storia vera

Kaouther Ben Hania mescola documentario e fiction, attori e persone comuni e genera caos

Un film di Kaouther Ben Hania. Con Ciao Sabri, Majd Mastoura, Ichrak Matar, Eya Chikhaoui, Tayssir Chikhaoui. Drammatico, 107′. Francia, Tunisia, Germania, Arabia Saudita 2023

Olfa Hamrouni ha quattro figlie che vorrebbe maritare come ‘madama Dorè’, col principe di Spagna o magari con lo scudiero del re. Le figlie si ribellano e le maggiori finiscono divorate dai lupi. Ma non è una favola e nemmeno una filastrocca quella che racconta Kaouther Ben Hania in una nuova e singolare avventura artistica che ricostruisce la vicenda di una donna e delle sue quattro figlie. Ma chi sono i lupi? Qual è la natura delle tenebre che annuncia l’autrice e che ha inghiottito due sorelle?

 

La premessa d’obbligo è il massimo rispetto per il regista Kaouther Ben Hania e la solidarietà per la tragedia vissuta dalle protagoniste. Ma al netto di questo, guardando “Four Daughters” (Les filles d’Olfa) mi è sembrato di avere davanti una puntata di “Amore criminale” condotto da Barbara De Rossi oppure di “Storie maledette” di Franca Leosini.

La scelta di raccontare la storia di Olfa utilizzando questa brutta commistione tra documentario e fiction si dimostra fin da subito inadatta e banalizzante rispetto alle potenzialità narrative e soprattutto emozionali della storia.

Lo spettatore si trova davanti a una messa in scena deficitaria, debole, priva di mordente e pathos, che svilisce questa storia di violenza domestica. E non funziona neanche il mix tra attori e persone reali, che invece di avvicinare lo spettatore lo lascia freddo e poco partecipe.

“Four daughters” annoia fino alla scoperta della verità sulle due figlie maggiori, che in un primo momento sembravano ostili alla tradizione islamica e hanno invece finito per radicalizzarsi, sposando due terroristi. A questo punto lo spettatore capisce almeno qual è il cuore del progetto, ma la connessione con le protagoniste latita, anche perché pazienza e curiosità sono arrivate al minimo.

Peccato che il regista non abbia visto almeno una puntata delle due trasmissioni italiane citate all’inizio della recensione: avrebbe potuto evitare di sciupare una storia meritevole di essere raccontata, usando altri strumenti narrativi.

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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