“Io capitano”: dentro il fenomeno migratorio, con pathos e calcolo

Matteo Garrone racconta la storia di due ragazzi che lasciano il Senegal in cerca di fortuna

Un film di Matteo Garrone. Con Seydou Sarr, Moustapha Fall, Issaka Sawagodo, Hichem Yacoubi, Doodou Sagna. Drammatico, 121′. Italia, Belgio 2023

Seydou e Moussa sono cugini adolescenti nati e cresciuti a Dakar, ma con una gran voglia di diventare star della musica in Europa. Tutti in Senegal li cautelano contro il loro progetto, in primis la madre di Seydou, ma i due sono determinati, e di nascosto intraprendono la loro grande impresa. Un viaggio che si rivelerà un’odissea attraverso il deserto del Sahara costellato dei cadaveri di quelli che non ce l’hanno fatta, le prigioni libiche e il Mediterraneo interminabile e pericoloso. I furti, le violenze e i soprusi non si conteranno, ma ci saranno anche gesti di umanità e gentilezza in mezzo all’inferno. Soprattutto, Seydou dovrà scoprire che cosa comporta mettersi al timone della propria e altrui vita in circostanze ingestibili.

 

Aiutiamoli a casa loro! È un dovere aiutare un uomo in mare! Prima gli italiani! Potrei andare avanti ore citando gli slogan – spesso vuoti di reale significato – che le due opposte “fazioni” politiche nostrane si lanciano contro quando si parla di rifugiati e nuovi flussi migratori.

Al mondo del cinema spetta il compito di scuotere le coscienze dell’opinione pubblica, informando su quella che è a tutti gli effetti una delle grandi crisi umanitarie del nostro tempo, e prendendo posizione.

Ed è quanto ha fatto Matteo Garrone nel suo “Io capitano”, presentato in concorso a Venezia, concentrandosi sulla storia di due ragazzi, Seydou (Sarr) e Moussa (Fall), cresciuti in Senegal ma desiderosi di affermarsi come stelle della musica nella lontana e fantasmagorica Europa. 

I motivi che spingono ogni giorno uomini, donne e bambini a migrare sono molteplici: guerre, povertà, cambiamenti climatici, il desiderio di avere un futuro migliore e potersi realizzare. E Garrone si concentra su quello che succede prima delle tristemente note traversate col barcone, aggiungendo al dramma la storia di formazione.

Nonostante io riconosca il valore politico e sociale, prima ancora che artistico, di “Io Capitano”, mi trovo in difficoltà a unirmi alle lodi sperticate. Quello che è stato definito dai colleghi “un viaggio epico”, “un’Odissea moderna”, “una diversa prospettiva sul fenomeno migratorio” a me è sembrata soprattutto un’operazione studiata a tavolino!

Il film tocca con intelligenza e sensibilità corde profonde del cuore del pubblico, ma trasmette anche la sensazione di starlo facendo volutamente per commuovere, senza spontaneità. Per questo, nonostante la via crucis affrontata da Seydou e Moussa, resta sempre una sensazione di distacco.

Previous article“The killer”: un thriller teso ben lontano dai picchi creativi di Fincher
Next article“Priscilla”: quando il sogno d’amore americano si trasforma in prigione
Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here