Cartoline dal Taormina Film Fest 2020: “Mater” e “Uncle”

Due pellicole che parlano di famiglia e degli obblighi che ci legano ai parenti e agli affetti

Mater è un film di Jure Pavlovic. Con Daria Lorenci, Neva Rosic, Vera Zima, Anka Vuckovic,  Marijo Jurkovic. Drammatico, 93′. Croazia, Serbia, Francia, Bosnia-Herzegovina 2019

 

Uncle è un film di Frelle Petersen. Con Jette Søndergaard, Peter Hansen Tygesen, Ole Caspersen. Drammatico, 105′. Danimarca 2019

 

La famiglia e gli obblighi morali e affettivi che legano figli e nipoti ai parenti anziani sono al centro di “Mater” di Jure Pavlovic e “Uncle” di Frelle Petersen, presentati in concorso al Taormina Film Fest 2020.

Nel primo protagonista è Jasna, costretta a tornare a casa in Croazia e a fare i conti con la sua infanzia problematica a causa della malattia della madre; nel secondo la giovane danese Kris, che ha messo da parte i suoi sogni per occuparsi dell’anziano zio, rimasto paralizzato in seguito a un ictus.

Le pellicole sono ambientate in due Paesi diversi, ma hanno molti punti di contatto. Il punto di partenza dell’intreccio, prima di tutto, e poi la figura delle protagoniste, donne forti, pratiche, sensibili che però vengono come bloccate dalla “catena” degli affetti.

E poi c’è la struttura della narrazione, semplice e lineare, e lo stile di racconto, asciutto, essenziale, dove sono i silenzi più che le parole a essere rilevanti e ad assumere una precisa valenza drammaturgica.

L’insofferenza di Jasna e l’angosciosa rassegnazione di Kris trovano efficace rappresentazione nelle intense performance delle protagoniste. Daria Lorenci (premiata con la Maschera di Polifemo per la migliore attrice) e Jette Søndergaard reggono con naturalezza il peso artistico dei film, senza mai risultare eccessive o caricaturali.

Alla lunga “Mater” risulta lievemente ripetitivo nell’intreccio e lento nel ritmo, mentre “Uncle” ha maggiori respiro, ritmo e fruibilità, grazie anche al cast che affianca la Søndergaard, davvero valido e ispirato.

Il primo lascia nello spettatore un retrogusto malinconico, mentre il secondo compie un passo ulteriore in avanti sul piano emozionale e psicologico, sublimandosi in una dimensione più universale. Alla fine la rinuncia personale ha la sua bellezza, se la si attua in nome di un bene “superiore”, la famiglia.

 

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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