Intervista all’autrice Cristina Frascà

Nel romanzo "La supplente", edito da Garzanti, racconta il mondo della scuola "dall'interno"

Ha esordito per Garzanti il 9 settembre con il romanzo La supplente(qui la recensione), dove racconta il mondo della scuola “visto da dentro”. E come ci si sente a stare dietro una cattedra Cristina Frascà lo sa bene, visto che nella vita è un’insegnante. 

La sua Anna è una trentenne irrisolta, che anela al posto fisso e nel frattempo si destreggia tra ripetizioni e supplenze (quando capita). Saranno proprio i suoi studenti, una variopinta classe di diciassettenni di un istituto alberghiero, a insegnarle qualcosa su se stessa e sul modo migliore di approcciarsi alla vita e ai cambiamenti. 

Del romanzo, di come ci si sente a passare da insegnante a scrittrice ma anche delle difficoltà dell’insegnamento in tempo di pandemia abbiamo parlato con Cristiana Frascà nel nostro primo appuntamento con “Intervista con l’autore – 7 domande a…”.

1Perché un’insegnante (con l’ambito posto fisso) decide di diventare scrittrice e compiere “il grande salto”? 

Difficile dirlo. Forse la risposta più sincera è che io credo che una vita sola non basti a diventare tutto quello che ci preme dentro. Ho sempre amato l’idea di diventare un’insegnante e quando, ormai tanti anni fa, ho vinto l’agognato e indispensabile concorso pubblico ho provato una gioia immensa perché questo mi avrebbe permesso di non smettere più di andare a scuola. I miei piccoli alunni sono linfa vitale e vampiri succhia-energie davvero preziosi.

Il salto nella scrittura è stato un impulso, apparentemente improvviso. Sono innamorata della letteratura da che ho memoria, della prosa e della poesia in ugual misura. Una lettrice accanita dotata di fantasia. Credo che prima o poi dovesse succedere. Scrivere per me è entrare in una dimensione parallela di pace, molto diversa dalla frenesia del quotidiano che ogni donna, madre e moglie lavoratrice non farà fatica a immaginare.

2 Com’è lavorare a un romanzo d’esordio? Hai mai pensato che il progetto non si sarebbe concretizzato? E com’è stato quando invece hai saputo che “La supplente” sarebbe stato pubblicato  da Garzanti? 

Lavorare a questo romanzo è stato terapeutico durante il primo lockdown, e mentre scrivevo non pensavo a che destinazione avrebbe avuto questa storia. Io sentivo di volerla raccontare e le mie amiche più intime e mio marito la leggevano “a puntate”.

L’esordio con Garzanti è dovuto alla fiducia della mia agente (Carmen Prestia) e alla sensibilità di Elisabetta Migliavada e Adriana Salvatori, che hanno letto il romanzo quando ancora non era concluso, intravedendone il potenziale. Quindi, senza queste donne meravigliose, era molto probabile che il progetto editoriale non vedesse la luce o non in questa veste, ma Anna ormai per me esisteva e avevo voglia di raccontare la sua storia.

3 Anna è una trentenne con diverse questioni irrisolte, che non riesce a entrare di ruolo e nemmeno a far quadrare la sua vita personale. Com’è nato il personaggio? Ti sei ispirata, in parte, alla tua storia o a quella di persone che conosci? E hai mai pensato per lei a un percorso di vita alternativo a quello dell’insegnamento? 

Anna è una supplente ed io lo sono stata. Il precariato non si scorda mai, inoltre non esistono regole sempre valide: ogni classe, ogni alunno è una sfida nuova e devi essere disposto ad imparare ogni giorno per poter fare un lavoro accettabile. Pertanto posso dire di sentirmi ancora precaria, esattamente come Anna. Atteggiamento che credo aiuti a non dare nulla per scontato, a scuola, ma in generale nella vita. Inoltre Anna mi ricorda le meravigliose colleghe precarie che in questi anni ho conosciuto e con le quali è stato un onore fare un pezzettino di strada.

Non ho pensato per Anna ad un percorso alternativo in quanto credo che dovrebbe fare l’insegnante non perché non ha trovato altro, ma proprio perché è il suo sogno e spera di poterlo realizzare. Io glielo auguro davvero.

4 La classe dell’istituto alberghiero in cui Anna si trova a insegnare è composta da un gruppo variegato di ragazzi. Ognuno ha il suo soprannome, alcuni davvero azzeccati e divertenti – mi ha colpita soprattutto Anastasia che per Anna diventa Anastrega, continua a risuonarmi in testa anche a distanza di settimane. Quanto sono importanti, i ragazzi, nell’economia del romanzo e soprattutto nella crescita di Anna? Confermi che anche gli studenti possono insegnare qualcosa a un insegnante? 

Gli studenti sono fondamentali. Sebbene sia un romanzo che non parla solo di scuola, Anna è un’insegnante e i suoi ragazzi si sono ricavati lo spazio che meritano. Sono futuro, confusione, paure, incertezza, allegria e purezza. Confermo e sottoscrivo che si impara moltissimo dagli alunni: basta fermarsi ad osservarli e la magia ha inizio.

5 In “La supplente” usi uno stile ironico e “leggero” per affrontare diverse tematiche importanti,  che esulano dal mondo della scuola, come i disturbi alimentari e la difficoltà ad accettare il proprio  corpo, l’elaborazione del lutto e la perdita di una persona cara, il dramma della nascita prematura. Mai avuto paura di mettere troppa carne al fuoco o di banalizzare qualcosa? E pensi che l’ironia sia un buon mezzo per toccare argomenti del genere? 

Credo che l’ironia sia una lente di ingrandimento sul mondo: permette di vedere meglio. È anche un potente antidoto al veleno di certe situazioni. Insomma, se puoi sorriderci su affronti meglio qualsiasi circostanza. È vero che nel romanzo ci sono tanti temi importanti che spero di aver accarezzato nel modo corretto. Ho raccontato di esperienze vissute, da me o da persone che conosco bene, e parlato con medici e psicologi per non banalizzare realtà complesse. Credo inoltre che il mio essere insegnante mi abbia portato ad acuire una tendenza naturale all’ironia. A scuola capita di tutto. Una quantità di gioie e dolori da stendere il più atarassico degli individui. Io che sono una da emozioni forti trovo che a volte, dopo un bel pianto, l’unica sia abbracciarsi e riderci su. Dà la carica.

6 Anche se in origine il mondo della scuola non doveva occupare un posto così rilevante nel  romanzo, come spieghi nei ringraziamenti, alla fine ce l’ha eccome. Quanto è difficile essere  insegnanti oggi? E come ha vissuto Cristina Frascà la pandemia, la didattica a distanza e poi il  ritorno alla “nuova normalità”? 

Essere insegnanti oggi vuol dire essere un soldato semplice in trincea. Gli alti ranghi pontificano, ma la scarsità di personale, l’enorme responsabilità, l’insufficienza cronica di insegnanti di sostegno specializzati, le segreterie al collasso e l’edilizia che speriamo sia controllata in modo adeguato sono solo alcune delle difficoltà che incontriamo. Io credo che sia lo scotto da pagare per la gioia pura e genuina di passare tanto tempo con chi costruirà il nostro futuro. Seminare oggi idee che loro matureranno nel tempo in modo autonomo, prestare attenzione a temi come l’inclusione, lo sviluppo sostenibile, il rispetto delle opinioni di ciascuno, senza cadere nella sottomissione, sono argomenti che fanno passare in secondo piano le molte criticità esistenti.

In didattica a distanza ho vissuto con i miei ragazzi quanto fosse importante costruire nuove vie per non perdere la nostra preziosissima quotidianità. Abbiamo fatto di tutto: quiz gara su libri letti in pdf (per aggiudicarsi la risposta dovevano di volta in volta dimostrare di trovare in casa un oggetto che io elencavo), yoga (ho avuto mal di schiena per una settimana per eseguire la posizione consigliata da un’alunna), abbiamo riscoperto le “Fiabe al telefono” nei nostri appuntamenti del giovedì sera in pigiamino. Nel frattempo abbiamo letto una versione dell’Odissea e studiato la grammatica, la sintassi, composto poesie e scritto fiumi di testi per analizzare le nostre paure, gli elementi positivi e negativi di quanto ci stava accadendo. Abbiamo goduto del reciproco supporto e io non li ringrazierò mai a sufficienza per essere stati così pronti, genuini e meravigliosamente “vicini”.

Il ritorno è stato una festa. Noi alla scuola primaria siamo stati più fortunati perché, con tutte le dovute attenzioni, abbiamo potuto frequentare parecchio lo scorso anno. Che dolore per le scuole secondarie… difficilissimo accettare che, superato lo sconcerto iniziale, non ci fosse proprio modo per far tornare a scuola tutti. I dati sugli abbandoni scolastici sottolineano la gravità di questa situazione e quanto la presenza a scuola faccia la differenza.

7 In una precedente intervista hai raccontato di aver molti progetti in cantiere, tra cui un sequel per  la storia di Anna, di Sasha e degli altri personaggi. Cosa devono aspettarsi i lettori? Meglio non abituarsi troppo al “lieto fine” perché la vita scombinerà ancora una volta le carte in tavola? 

La vita scombina le carte in tavola e i pezzi sulla scacchiera, quando meno te lo aspetti, ma il lieto fine è una scelta quotidiana, non la fortuna di un particolare momento. Credo che ad Anna non manchi la determinazione… basterà?

 

Grazie a Cristina Frascà per essere stata con noi.

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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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