Oscar 2018: quando a vincere sono bellezza e libertà artistica

Il regista Guillermo Del Toro mattatore di serata. Premi convincenti - anche se poco sorprendenti

di Riccardo Carosella

 

Una 90° edizione degli Oscar che non dimenticheremo facilmente, quella andata in scena il 4 marzo a Los Angeles, per la quantità di film e messaggi importanti che ci ha lasciato in dote.

Un’edizione all’insegna dell’apertura mentale verso i cambiamenti e il prossimo, che ha messo in luce un modo nuovo e fresco di fare cinema e che ha dimostrato che non c’è nulla di più importante della libertà, nell’arte come nella vita.

Poche le sorprese, come da copione, e pronostici ampiamente rispettati. Il re della serata, in quanto a statuette, è sicuramente Guillermo Del Toro che col suo “La forma dell’acqua” se n’è aggiudicate ben quattro – comprese quelle per il miglior film e il miglior regista, diventando il terzo messicano a riuscirci, dopo Alfonso Cuaron e Alejandro González Iñárritu.

Il film – di cui il mondo intero ha ampiamente parlato – racconta una storia incredibile, tra realtà e fantasy, soffermandosi sul tema della diversità e sul timore che talvolta questa ci suscita, rendendoci incapaci di capire e accettare coloro che, a una prima impressione, ci appaiono diversi.

L’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale a James Ivory, per “Chiamami col tuo nome“, è un altro di quelli che ti aspetti ma che fanno comunque bene al cuore. Il film di Guadagnino è uno dei più belli ed emozionanti di questa edizione degli Oscar. Un film di una sensibilità unica, che tocca le corde emotive dello spettatore rendendolo partecipe dei sentimenti e degli stati d’animo dei due giovani protagonisti, Elio e Oliver.

Tre premi tecnici (montaggio, sonoro e montaggio sonoro) a “Dunkirk” di Christopher Nolan, che puntava al premio come miglior regista ma che ancora una volta dovrà rimandare i festeggiamenti.

Tre manifesti a Ebbing, Missouri“, il thriller di Martin McDonagh, regala l’Oscar a Frances McDormand come attrice protagonista e a Sam Rockwell come attore non protagonista. Per l’attrice è la seconda vittoria dopo quella del 1997 per “Fargo”. I premi sono meritati, ma da sognatori sarebbe stato bello veder trionfare la giovane Saoirse Ronan (“Lady Bird“), con la sua interpretazione fresca, alternativa, da urlo.

Allison Janney trionfa come miglior attrice non protagonista, nel ruolo della sprezzante madre della pattinatrice Tonya Hardwig (“Io, Tonya“), grazie a un’interpretazione esasperata e cruda.

Dulcis in fundo, l’Oscar come miglior attore. Meritatissimo il premio a Gary Oldman (“L’ora più buia“), alla luce anche della straordinaria carriera dell’attore britannico. Detto questo, due altri interpreti sarebbero stati degni della statuetta. Il primo è Timothee Chalamet, che a soli ventidue anni ha regalato una performance magistrale nel film di Guadagnino.

Il secondo è Daniel Day Lewis, che con la sua interpretazione di Reynolds Woodcock ne “Il filo nascosto” dimostra di essere uno degli attori più grandi di sempre. Quella che dovrebbe essere l’ultima prova recitativa di Day Lewis, che ha dichiarato a più riprese di voler chiudere qui la sua carriera, è probabilmente la sua migliore.

La 90° edizione degli Oscar, insomma, verrà ricordata negli anni non solo per i grandi film e i grandi personaggi che ci lascia, ma anche e soprattutto per i grandi messaggi e le grandi verità. Al prossimo anno.

 

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