“Calls”: una serie Apple che punta tutto sul suono e non sulle immagini

Una miniserie in nove episodi composta da telefonate apparentemente disconnesse...

Una serie ideata da Fede Álvarez. Con le voci di Rosario Dawson, Nick Jonas, Karen Gillian,
Jaeden Martell, Stephen Lang, Aubrey Plaza, Aaron Taylor-Johnson, Lily Collins, Riley Keough, Mark Duplass, Paul Hauser, Pedro Pascal. Misyert, thriller. USA. 2021

Un susseguirsi di telefonate misteriose senza un collegamento apparente diventano sempre più surreali. Le conversazioni raccontano la storia di un gruppo di estranei le cui vite sono gettate nel caos con l’arrivo di un evento apocalittico.

 

Potrà sembrarvi strano, quasi paradossale, che in un’epoca caratterizzata dalla lotta senza quartiere tra i colossi dello streaming nel produrre serie costose, visivamente imponenti e ricche di effetti speciali si possa avere successo con uno show dove la parola è l’unica protagonista.

Eppure è quanto ha fatto Apple TV+ con “Calls” di Fede Álvarez, una miniserie in nove episodi giocata soltanto sul sonoro (che riprende una serie francese dallo stesso nome), con elementi visivi ridotti ai minimi termini, che costringe il pubblico a concentrarsi sui contenuti e sulle parole piuttosto che sulle immagini.

“Calls” evoca nello spettatore un suggestivo quanto emozionante paragone con gli storici programmi radiofonici del secolo scorso. E lo spiazza, perché è qualcosa di “datato” eppure innovativo, una storia dal respiro quasi kafkiano.

I nove episodi sono composti da telefonate apparentemente distinte le une dalle altre; storie di coppie, di famiglie, di tradimenti che si fanno via via sempre più surreali.

Il mio consiglio è di estraniarvi per quanto possibile da ciò che vi circonda, concentrandovi solo sull’ascolto e prestando attenzione a ogni più piccolo suono e rumore, interno ed esterno alle conversazioni.

Nel primo episodio, “The End”, ascoltiamo Tim e Sara. È la vigilia di Capodanno: lui è a Los Angeles, lei a New York. I due non si vedono da sei mesi e si intuisce una latente crisi di coppia. Tim cerca di troncare la relazione, ma non ci riesce, e la telefonata si chiude con un nulla di fatto. Poi, improvvisamente, iniziano delle interferenze, versi e presenze “non umane” che segnano questa storia e anche tutte le altre.

Rose e Mark sono i protagonisti di “The Beginning” (ep.2). Lui scappa quando lei gli comunica di essere incinta e, sconvolto, si mette in auto, per chiedere ospitalità al suo miglior amico. Mark vorrebbe prendersi qualche giorno per riflettere, ma la sua percezione del tempo è diversa da quella dei suoi interlocutori…

La fuga dalle responsabilità e il rimpianto per il calore familiare perduto sono il cuore emotivo anche dell’inteso e sconvolgente “Mom” (ep.7).

In “Pedro Across the Street” (ep.3) e “It’s All in Your Head” (ep.04) ascoltiamo invece, attoniti, la distruzione fisica ed emotiva di due matrimoni segnati dalla sfiducia, dal tradimento e dall’ipocrisia. I protagonisti sono travolti dalla verità, che sconvolge la loro illusione di avere unioni felici, provocando inevitabili conseguenze.

La distinzione tra passato, presente e futuro si fa sempre più labile via via che le telefonate si susseguono, e questo amplifica la sensazione di angoscia, di stare andando incontro a un precipizio (che non possiamo vedere ma percepiamo si sta avvicinando)…

Ci si domanda anche se “Calls” non sia andato incontro a un cortocircuito narrativo, ma negli ultimi episodi tutto viene ribaltato. I pezzi di questo sofisticato quanto elegante rompicapo assumono un significato diverso dal previsto, e lo spettatore scopre la genesi e l’autore di questo caos temporale, esistenziale e spirituale.

Fede Álvarez è stato davvero bravo a costruire una storia “inversa”, che sovverte anche le certezze produttive e commerciali sviluppatesi negli ultimi anni nel mondo dello streaming e della tv.

“Calls” è avvolgente, spiazzante, incalzante, evocativa nonostante l’assenza di personaggi in carne e ossa. E ci ricorda che la potenza dei dialoghi e la loro capacità di far immaginare e percepire, anche senza effettivamente vedere, possono rappresentare le chiavi di un grande successo.

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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